Di solito, in quelle villeggiature in montagna, ci veniva mia nonna, la madre di mio padre. Non abitava con noi, ma in un albergo in paese.
Andavamo a trovarla, ed era là seduta sul piazzaletto dell’albergo, sotto l’ombrellone; era piccola, con minuscoli piedi calzati di stivaletti neri a piccolissimi bottoncini; era fiera di quei piccoli piedi, che spuntavano sotto la gonna, ed era fiera della sua testa di capelli candidi, crespi, pettinati in un alto casco rigonfio. Mio padre la portava ogni giorno, << un po’ a camminare>>. Andavano sulle strade maestre, perché lei era vecchia, e non poteva praticare i sentieri, soprattutto con quegli stivaletti a piccoli tacchi; andavano, lui avanti, coi suoi passi lunghi, mani alla schiena e pipa in bocca, lei dietro, con la sua veste frusciante, con i passetti dei suoi tacchettini; lei non voleva mai andare sulla strada dov’era stata il giorno prima, voleva sempre strade nuove; -Questa è la strada di ieri – si lamentava, e mio padre le diceva distratto, senza voltarsi:- No, è un’altra; – ma lei seguitava a ripetere: – È la strada di ieri. È la strada di ieri. -Ho una tosse che mi strozzo, – diceva dopo un poco a mio padre, che sempre tirava avanti e non si voltava; -Ho una tosse che mi strozzo, – ripeteva portandosi le mani alla gola: usava sempre ripetere le stesse cose due o tre volte. Diceva: -Quell’infame Fantecchi che m’ha fatto fare il vestito marrone! volevo farlo blu! volevo farlo blu! – e batteva l’ombrello sul selciato, con rabbia. Mio padre le diceva di guardare il tramonto sulle montagne; ma lei seguitava a battere a terra, irosamente, la punta dell’ombrello, presa da un attacco di collera contro la Fantecchi, sua sarta. Lei del resto veniva in montagna soltanto per stare con noi, dato che abitava a Firenze durante l’anno, e noi a Torino, e così ci vedeva soltanto l’estate; ma non poteva soffrire la montagna, e il suo sogno sarebbe stato villeggiare a Fiuggi o a Salsomaggiore, luoghi dove aveva trascorso le estati della sua giovinezza.
Era stata in passato, mia nonna, molto ricca, e s’era impoverita con la guerra mondiale (…). Mia nonna usava dire <<la mia disgrazia>> alludendo a quella perdita di denaro; e se ne disperava, la mattina, passeggiando su e giù per la stanza e torcendosi le dita. Ma non era poi così povera. Aveva, a Firenze, una bella casa, con mobili indiani e cinesi e tappeti turchi; perché un suo nonno, il nonno Parente, era stato un collezionista di oggetti preziosi (…).
Mia nonna era da giovane, a suo dire, bellissima, la seconda bella ragazza di Pisa; la prima era una certa Virginia Del Vecchio, sua amica. Venne a Pisa un certo signor Segrè, e chiese di conoscere la più bella ragazza di Pisa, per chiederla in matrimonio. Virginia non accettò di sposarlo. Gli presentarono allora mia nonna. Ma anche mia nonna lo rifiutò, dicendo che lei non prendeva <<gli avanzi di Virginia>>. Si sposò poi con mio nonno, il nonno Michele: uomo che doveva essere quanto mai dolce e mite. Rimase vedova in giovane età…
[da Lessico familiare di N. Ginzburg]
Bel testo.
Molto educativo e significativo.