Bullismo e cyberbullismo, responsabiltà penali anche per docenti e dirigenti che non denunciano. Cosa fare

cyberbullismoRipercussioni, a più livelli, per chi commette atti di bullismo. I minori di età sottovalutano che la loro responsabilità, a diversi livelli, per fatti illeciti, non inizia a 18 anni.

Responsabilità minori

L’età per cui si è considerati responsabili inizia molto prima:

  • secondo la legge italiana il minorenne che abbia compiuto i 14 anni di età, se reputato in grado di intendere e di volere, è responsabile per le condotte aventi rilevanza penale, come quelle che possono manifestarsi nell’ambito del bullismo e del cyberbullismo (ad esempio, il reato di violenza privata). L’effetto, oltre all’eventuale condanna penale, è anche la sanzione a cui il minore può essere sottoposto (ad esempio, la permanenza in casa);
  • anche chi ha un’età inferiore ai 14 anni, e commette fatti che integrano reato, soggiace alle misure di sicurezza, quali il collocamento in una casa di rieducazione o l’affidamento al servizio sociale minorile;
  • il minore che ha posto in essere atti di bullismo, cyberbullismo, oppure gli sia stata riscontrata qualche dipendenza da internet, può essere sottoposto a una terapia sanitaria, preordinata alla cura delle patologie legate dall’incapacità di gestire l’impiego della rete e degli strumenti tecnologici;
  • la Legge n. 71 prevede che, fin quando non venga presentata querela o denuncia dalla vittima, il questore possa convocare il responsabile della condotta illecita, purché abbia già compiuto a 14 anni, commessa nei confronti di altro minorenne, e ammonirlo oralmente, invitandolo a rispettare la legge. Il tutto, in presenza di un genitore o di chi ne faccia le veci, e gli effetti dell’ammonimento, in ogni caso, cessano con il compimento della maggiore età;
  • il curriculum scolastico può essere segnato dalla circostanza di essere stati ritenuti responsabili di atti di bullismo: per il Tar di Napoli (Sezione IV, sentenza 6508 dell’8 novembre 2018) è legittimo il 7 in condotta comminato all’alunna che aveva utilizzato parole offensive nella chat WhatsApp di classe, anche fuori dalle aule e degli orari della scuola, in quanto l’articolo 7 del Dpr 509/2009 statuisce che la valutazione del comportamento degli alunni si valuta anche dal “rispetto dei diritti altrui e dalle regole che governano la convivenza civile in generale e la vita scolastica in particolare”.

La responsabilità civile

A rispondere civilmente delle conseguenze degli atti posti in essere dagli studenti, sono due categorie di soggetti:

  • i genitori, per inosservanza degli obblighi elencati all’art. 147 c.c. L’art. 2048 c.c. pone una presunzione di responsabilità sui genitori, che può essere superata fornendo la prova di non aver potuto impedire l’evento. Il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta (decreto 11 settembre 2018), ha affermato che la condotta di bullismo può rendere necessario l’accertamento delle capacità educative e di controllo dei genitori, in quanto sugli stessi incombe l’obbligo di “vigilare sulla effettiva assimilazione dell’educazione impartita e dei valori trasmessi”;
  • la scuola per omessa vigilanza per ciò che accade allo studente nel corso dell’orario scolastico, qualora il fatto risultasse prevedibile, ed evitabile, secondo l’ordinaria diligenza. Va inoltre evidenziato che con l’entrata in vigore della legge n. 71, risulta necessario attivare specifici percorsi formativi sulla tematica del cyberbullismo. Le linee guida del Miur del 27 ottobre 2017 statuiscono che “Le misure di intervento immediato che i dirigenti scolastici sono chiamati a effettuare, qualora vengano a conoscenza di episodi di cyberbullismo, dovranno essere integrate e previste nei Regolamenti di Istituto e nei Patti di Corresponsabilità, al fine di meglio regolamentare l’insieme dei provvedimenti sia di natura disciplinare che di natura educativa e di prevenzione. Sarà cura del dirigente assicurare la massima informazione alle famiglie di tutte le attività e iniziative intraprese, anche attraverso una sezione dedicata sul sito web della scuola (…)”. Il comma I dell’art. 5 della legge n. 71 prevede che il dirigente scolastico, “salvo che il fatto costituisca reato, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni di cui al comma 2, (…) che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale ovvero i tutori dei minori coinvolti e attiva adeguate azioni di carattere educativo”. Le stesse linee guida recitano: “Ai docenti referenti, così come ai dirigenti scolastici, non sono quindi attribuite nuove responsabilità o ulteriori compiti, se non quelli di raccogliere e diffondere le buone pratiche educative, organizzative e azioni di monitoraggio, favorendo così l’elaborazione di un modello di policy d’istituto”. Quindi, parimenti alle ulteriori responsabilità che interessano la funzione, anche in questo caso il dirigente scolastico può rispondere per “culpa in organizzando”, e più specificamente per non aver predisposto le misure organizzative atte a garantire la sicurezza dell’ambiente scolastico e la disciplina tra gli alunni. Per farla valere, sulla vittima incombe l’onere di dimostrare:
  • il danno subito;
  • il nesso causale tra il danno e la condotta omissiva del dirigente;
  • la carenza o inidoneità delle misure organizzative adottate per assicurare la disciplina degli alunni.

Inoltre, l’istituto scolastico, se condannato, potrà in seguito rivalersi nei confronti dell’insegnante che, per discolparsi, dovrà dimostrare:

  • che il fatto si è verificato per caso fortuito,
  • che il fatto non era prevedibile,
  • di aver posto in essere tutto il possibile per evitarlo.

L’obbligo di denuncia

Come più volte rimarcato anche dalle pronunce dei giudici:

  • l’insegnante di una scuola pubblica o paritaria è un pubblico ufficiale anche fuori dall’orario scolastico,
  • il collaboratore scolastico è un incaricato di un pubblico servizio, sul quale incombono precisi obblighi di vigilanza.

La conseguenza è che tali soggettività hanno l’obbligo di denunciare, alle autorità competenti, i fatti di cui siano venuti a conoscenza e che costituiscono “reati” procedibili d’ufficio (violenza privata, rapina, furto aggravato, estorsione, e via di seguito). La mancata attivazione, da parte di questi soggetti, comporta la possibilità che nei loro confronti sia aperto un processo penale, che potrebbe sfociare nella condanna per il reato, rispettivamente, di:

  • “omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale”,
  • ovvero di “omessa denuncia di un incaricato di pubblico servizio”.

Quanto esposto, limitatamente ai dirigenti scolastici, trova conferma nel comma I dell’art. 5 della legge n. 71: “salvo che il fatto costituisca reato, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni di cui al comma 2, (…) che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale ovvero i tutori dei minori coinvolti e attiva adeguate azioni di carattere educativo”. Per cui, se l’atto di cyberbullismo integra un reato, il dirigente dovrà informare l’autorità giudiziaria.

[FONTE: ORIZZONTE SCUOLA]

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